L’ultimo trimestre è ormai alle porte.
E’ tempo, quindi, dei primi bilanci per l’anno in corso e, allo stesso tempo, delle prime previsioni per quello che verrà.
Il 2024, a livello globale, dovrebbe chiudersi con una crescita pari al 3,2%. Tutto si potrà dire, meno che una cosa: che si respira aria di recessione. Cosa che, ancora più importante, visto che riguarda il nostro futuro (sempre a livello globale), dovrebbe ripetersi il prossimo anno, con il PIL che dovrebbe crescere della stessa percentuale.
Peraltro, sono i distinguo sono doverosi. A “trainare” la crescita saranno, ancora una volta, i 2 Paesi più popolosi al mondo. L’India, che dovrebbe chiudere l’anno a + 6,7%, l’anno prossimo farà un ulteriore passo in avanti, con un + 6,8%. Un po’ diversa la situazione cinese, che vede allontanarsi l’obiettivo, ritenuto fondamentale dal Governo prima ancora che da analisti e osservatori, di una crescita del + 5%: se quest’anno arriverà a sfiorarla (+ 4.9%), peggio andrà per il 2025, con l’Ocse che non si spinge oltre il 4,5%. Indubbiamente, come altre volte ricordato, la “zavorra” della crisi immobiliare continuerà a pesare sui consumi delle famiglie (molte si ritrovano, oggi, a rimborsare mutui contratti per un importo maggiore al valore dell’immobile acquistato, per non parlare di quelle che, a causa del fallimento di molte imprese costruttrici, vivono una situazione ben peggiore, avendo in buona parte pagato immobili che non esistono). Ed è fortemente probabile che il valore degli immobili, già sceso, non di poco, in questi ultimi 2-3 anni, continui a scivolare. Un po’ quello che si è verificato in Giappone nei primi anni 80, quando il valore degli immobili era arrivato a toccare il 460% del PIL, con prezzi assolutamente fuori mercato. In Cina, oggi, siamo al 230%, ma era, sino a poco tempo fa, al 320%. In questi giorni la Banca Centrale cinese ha varato potenti stimoli monetari per aiutare la ripresa di un’economia che possiamo definire, per quel Paese, “asfittica”, con reazioni che non si sono fatte attendere e le quotazioni azionarie in forte ripresa (dopo il + 4% di martedì e il rialzo, più modesto, di ieri, oggi la corsa prosegue con un + 2%). Ma la maggior parte degli osservatori è del parere che sino a quando non verranno avviati stimoli fiscali per sostenere i consumi delle famiglie, parlare di ripresa abbattendo non poco il patrimonio delle banche, che quindi hanno non poche difficoltà ad aiutare imprese e famiglie.
Tornando ai numeri, gli Stati Uniti dovrebbero chiudere l’anno con un + 2,6%, per poi scendere, nel 2025, ad un + 1,6%.
Peggio andrà per l’Europa (Area UE), che chiuderà l’anno con un modesto + 0,7%, per risollevarsi, l’anno prossimo, al + 1,3%. Un delta, quindi, di 0,6%: guarda caso la Germania, che oggi sembra una nostra lontana parente, con una crescita appena sopra lo zero (+ 0,1%, se il 4° trimestre manterrà le premesse), l’anno prossimo salirà dell’1%. Una percentuale ancora lontana dalle percentuali a cui eravamo abituati, ma che l’allontana dal fondo della classifica, confermando ancora una volta che se (la Germania) va male, l’Europa potrà andare un po’ meglio, ma non potrà andare bene.
Noi, nonostante da più parti si faccia sfoggio di risultati positivi (dati occupazionali mai così positivi, inflazione ai minimi tra i Paesi UE, deficit al 3,8% vso il 4,3% inseritSo nel Def – Documento di Economia e Finanza – dello scorso aprile), vedremo la nostra economia crescere di un + 0,7% quest’anno e di un + 1,1% l’anno prossimo. Certo, potremmo dire meglio della “fortissima” Germania, ma da qui a dire che siamo “in una botte di ferro” ce ne corre. Corsa che, fortunatamente, continuerà per il PNRR, sempre che saremo in grado di spendere gli aiuti che la UE ci ha destinati (e senza i quali parlare di crescita sarebbe un po’ più difficile).
Ma, come sempre, guardiamo al bicchiere mezzo pieno: l’aumento delle entrate rispetto all’anno scorso, oltre a ridurre il deficit (come sopra indicato) potrebbe venire in soccorso alla manovra finanziaria in via di preparazione, oltre al fatto che una crescita dell’1,1% significa “muovere la classifica” e tenere la recessione “fuori dall’uscio”.
Mercati asiatici in grande spolvero anche oggi.
A Tokyo il Nikkei si appresta a chiudere con un + 2,55%.
Meglio fa, a Hong Kong, l’Hang Seng, che in questi minuti arriva a toccare il + 3,24%. Se dovesse chiudere su questi livelli, il recupero dai minimi dell’11 settembre sarebbe di oltre il 15%.
Bene anche Shanghai, che fa segnare + 2,42%.
In rialzo anche, a Seul, il Kospi, anche questo intorno al + 2%.
Futures anche oggi piuttosto brillanti: i rialzi vanno dal + 1,19% per l’Eurostoxx al + 1,24% del Nasdaq (evidentemente i mercati sembrano incuranti dell’escalation militare in Medio Oriente, con la geo-politica, almeno per il momento, ritenuta marginale rispetto agli eventi economico-finanziari).
Caduta del petrolio, con il WTI a $ 67,24 (- 3,62%, qui si che la situazione geo-politica medio-orientale si fa sentire).
Gas naturale Usa a $ 2,843 (+ 0,43%).
Senza slanci l’oro, che consolida a $ 2.658 (- 0,16%).
Spread stabile, a 133 bp.
Rendimenti dei BTP leggermente in crescita, al 3,54%.
Bund 2,21%.
Treasury al 3,78%.
€/$ poco mosso, a 1,115.
Bitcoin a $ 63.815.
Ps: ritorno al passato. Così potrebbe essere definita la nuova legge che rivede la norma sul voto in condotta. La bocciatura, quindi, con il 5 in condotta è assicurata. Senza tener conto delle sanzioni amministrative (multa sino ad € 10.000, oltre alle eventuali ulteriori sanzioni che derivassero da un’aula di tribunale) per chi commettesse reati contro il corpo insegnante o altri studenti. Certamente i problemi della scuola sono anche altri, a partire dal precariato del corpo docente o dall’obsolescenza di molti istituti, ma dare “autorevolezza” alla scuola come Istituzione è un primo passo non banale.